mercoledì 31 agosto 2011

Exit M8...

Leica M8 - Voigtlander 35mm Nokton F1.4 @ ISO 640

Prima o poi dovevo farlo. Avevo già preso la decisione da qualche mese. Sebbene a malincuore ho venduto la mia Leica M8. Semplicemente non era più al passo con i tempi, meglio venderla finché ancora potevo ricavarci una cifra ragionevole.

E' la fine del mio rapporto con le Leica a telemetro? Non lo so ma non credo, per il momento ho tenuto le ottiche da usare con la Bessa R3M.


martedì 30 agosto 2011

Dalla foschia

Panasonic GH2 - Lumix VARIO G 100-300 @ ISO 160

Due settimane di riposo in campagna. Non molto tempo per fotografare e una foschia perenne causata dall'elevata umidità. Dalla riva del lago di Viverone, appena percepibili nella foschia, si intravvedono le Alpi e qualche nuvola a rendere interessante il cielo. Cavalletto, Teleobiettivo, Telecomando. Qualcosa lo abbiamo portato a casa.

domenica 28 agosto 2011

Blackrapid RS-4

Chi mi conosce, o mi legge da un po' di tempo, sa che soffro di cervicale, ore e ore passate davanti a un computer per lavoro non aiutano, ed il colpo di grazia lo danno le fotocamere pesanti appese al collo. Tanto che ho preso l'abitudine di usare la fotocamera direttamente senza la cinghia. Al più uso una robusta cinghia da polso come misura di sicurezza.

Ma non sempre si può fare a meno della cinghia da spalla. A volte si deve poter tenere la macchina fotografica pronta all'uso, lasciando libere le mani e senza dover aprire e chiudere continuamente una borsa fotografica quando si deve scattare.

La cinghia in dotazione alle reflex non é, per me, una soluzione. Se portassi la macchina appesa al collo, a sera me ne pentirei di sicuro. Tenuta a spalla scivola di continuo. A tracolla é comodo perché non grava sulla cervicale, ma diventa molto scomodo portare la macchina all'occhio per fotografare.

E allora?

Da questi signori é arrivata una soluzione che ha risolto il mio problema. E' una tracolla che lascia la macchina fotografica libera di scorrere lungo una cinghia. In posizione di riposo rimane appesa all'altezza dell'anca, pronta per essere afferrata e portata ad altezza occhio per fotografare. La cosa bella é che la cinghia rimane utilizzabile anche se tenuta sotto una giacca, purché questa sia aperta sul davanti.

Sullo spallaccio generosamente imbottito é poi ricavata una tasca per mettere le schede di memoria. Personalmente però ho sempre paura, nella fretta, di dimenticarmi aperta la zip della tasca e perdermi una scheda carica di foto, quindi tendo a non usarla, al più la uso per le batterie di scorta del flash.

La macchina fotografica rimane agganciata ad un moschettone, che corre libero sulla tracolla, tramite un anello che si avvita all'attacco per il cavalletto sul fondello della macchina.

Io personalmente a volte sostituisco l'anello in dotazione con una piastra di attacco rapido per cavalletto (uso le manfrotto RC2) e non ho mai avuto problemi. Ovviamente se non seguite le indicazioni del produttore della tracolla lo state facendo a vostro rischio e pericolo.

Comunque io ho usato sia la piastra di attacco rapido che l'anello in dotazione per portare, senza problemi, una 5d MKII, 24-105, flash 580 ex II e battery grip. La mia più grossa preoccupazione risiede nella tenuta dell'anello degli attacchi, non vorrei mai si deformasse per poi sganciarsi. Sempre meglio quindi, prima di usare il tutto sul campo, valutare ad occhio che non ci sia nessun segno di cedimento, neanche minimo, usando per prova un carico superiore a quello che porteremo poi effettivamente.

Notate che su alcuni forum di discussione viene riportato che ad alcuni possessori di questa tracolla sia capitato di avere problemi, anche gravi, con anelli di tenuta difettosi, che lasciavano cadere l'attrezzatura. Io non mi fido molto di quanto riportato nei forum. Ma é doveroso segnalarlo. Ripeto comunque che io non ho mai avuto problemi, e con me almeno altre due persone che conosco, di cui uno é un professionista nel ramo sportivo.

Se poi in futuro leggerete in un post su questo blog che ho distrutto una fotocamera per colpa di una caduta, sarete liberi di ridere a crepapelle. Ma spero che non accada :)

A parte questo ovviamente la macchina appesa in questo modo non é protetta dagli urti...occhio a dove andate a sbattere e ogni tanto controllate il serraggio dell'anello, non si sa mai.

In ogni caso, in questo modo, non sforzo inutilmente i muscoli del collo e la macchina é pronta allo scatto, anche in momenti in cui, magari, la stanchezza ci farebbe desistere dall'aprire la borsa e recuperare la macchina.

La RS-4 in mio possesso é la più semplice delle tracolle messe a disposizione dal produttore, ce ne sono per tutti i gusti, comprese versioni da donna, in cui la cinghia é conformata anatomicamente per non comprimere il seno o versioni per due corpi macchina, che vedrei bene addosso a un Billy The Kid versione fotografo...forse un po' esagerate?


mercoledì 24 agosto 2011

Ma le fotocamere vedono a colori?

Canon EOS 5D MKII - EF 24-105 F4L @ ISO 200

Risposta: si é ovvio, che domande fai? Zillioni di fotografie a colori e non sei ancora convinto che le fotocamere vedano i colori? Giusto certo. É evidente, le fotocamere vedono i colori. Dovevo porre la domanda in modo diverso: I sensori vedono i colori?


Risposta: No.


Come no? Se le fotocamere vedono i colori anche i sensori lo fanno. É ovvio. Beh mica tanto.


I sensori, sia i CCD che i CMOS, sono dei dispositivi elettronici composti da un elevatissimo numero di fotodiodi che producono una tensione elettrica quando vengono colpiti dai fotoni che compongono la luce da cui sono illuminati.


Più luce, più fotoni, più tensione.


Un dispositivo detto convertitore Analogico/Digitale prende il segnale analogico (la tensione) in uscita dal sensore e lo converte in un numero. Questo numero rappresenta l'intensità luminosa della luce ricevuta. In una conversione a 8 bit, 0 é nero, 255 bianco, in mezzo grigio.


Cosa c'entra il colore della luce con tutto questo? Nulla. l'intensità misurata é la stessa indipendentemente dal colore della luce incidente. Viene registrata un'unica informazione, l'intensità. Non la frequenza e, quindi, non il colore.


Ma allora?


Beh, ovviamente c'é il trucco. Tutti sappiamo cosa succede se facciamo passare un raggio di luce bianca attraverso un prisma di vetro ottico: La copertina di "The dark side of the moon". Ovvero i raggi luminosi possono essere scomposti nelle loro componenti colorate. É vero anche il viceversa e ormai tutti sappiamo che esistono dei colori primari che, mescolati opportunamente, ci permettono di ottenere qualsiasi colore vogliamo.


Questi sono il Rosso, il Verde ed il Blu.

Il filtro di bayer


Se facciamo passare un raggio di luce colorata attraverso un vetro rosso, solo la sua componente rossa lo attraverserà. Idem per vetri  verdi e blu.


Il filtro di Bayer. Notate come il verde compaia all'incirca il doppio di rosso e blu




L'idea che ebbe un certo signor Bayer fu di anteporre al sensore una lastrina di vetro colorata, dove davanti a ogni fotodiodo del sensore si trovasse un vetrino di colore diverso. Rosso, Verde o Blu. Quindi un fotodiodo posto sotto  il vetrino rosso registra solo la parte rossa della luce incidente e così via per quelli sotto il vetro verde o blu.


In figura si può vedere un esempio di questo filtro per un ipotetico sensore con 10x13 pixel. Già perché ognuno di questi fotodiodi é proprio un pixel del nostro sensore, proprio quelli che contano tanto nelle brochure pubblicitarie delle nostre agognate fotocamere. É interessante notare come in un sensore i pixel che vedono il verde sono il doppio di quelli che vedono il rosso o il blu.


Detto chiaro, una macchina con 12 MegaPixel ne vede 6 verdi, 3 rossi e 3 blu. Le componenti cromatiche che mancano a ciascun pixel vengono ricostruite matematicamente a partire dai pixel vicini.


Per vedere come si ottiene un'immagine a colori da un sensore che vede solo in bianco e nero con anteposto questo filtro, che chiameremo di Bayer, la cosa migliore é un bell'esempio.

Un esempio



Supponiamo che il nostro sensore, dall'altissima risoluzione di 0.00013 mega pixel, venga usato per riprendere la bandiera italiana rappresentata in figura.


Il nostro soggetto di esempio

Ora sovrapponiamo il filtro di Bayer all'immagine. Vediamo cioè l'immagine come la vede il sensore. E la cosa si fa già interessante. Come vedete la parte rossa della bandiera ha solo tre pixel illuminati, quella verde ben nove. Il bianco li ha tutti. Il rosso é stato particolarmente sfortunato. La parte rossa della bandiera ricopre un'area con solo tre pixel sensibili al rosso.

Immaginate di essere il sensore, state osservando il soggetto attraverso il filtro e così è come vedete la bandiera



Ora però abbiamo detto che il sensore registra solo le luminosità assegnando a ogni pixel un valore tra 0 e 255 ( nella nostra conversione a 8 bit ). Quindi il sensore vede la nostra bella bandiera colorata come nell'immagine sottostante.

O meglio, la vedete così, ricordate che il sensore vede solo la luminosità. Per comodità ho riportato in ogni casella il valore di luminosità rilevato.



Eh eh visto che dopotutto la fotocamera vede in bianco e nero?

La demosaicizzazione



Il procedimento che ci permette di calcolare le componenti cromatiche RGB di ciascun pixel dalla conoscenza dei soli valori di luminosità e della geometria del filtro é noto come demosaicizzazione.


Per comodità, in figura, sono riportati i valori di luminosità registrati per i singoli pixel abbinati al colore del rispettivo filtro. Li useremo, insieme con un semplice algoritmo di demosaicizzazione per ricostruire la nostra immagine a colori.


La matrice del filtro con le luminosità rilevate.


L'algoritmo



Il succo di un algoritmo di demosaicizzazione risiede nel fatto che é ragionevole presupporre che il colore di un pixel sia fortemente legato a quello dei pixel adiacenti. Questo é sicuramente vero nelle aree con campitura uniforme, ad esempio il petalo di un fiore; é meno evidente e più problematico vicino al bordo di una figura o con figure aventi trame molto fitte.


In sostanza comunque quello che si fa é, per ogni pixel, determinare le componenti mancanti ricavandole da quelle presenti nei pixel adiacenti.


É possibile inventarsi ogni sorta di algoritmo matematico per calcolare le componenti che ci servono, e nel tempo le case produttrici di sensori hanno investito molto tempo e denaro nel migliorare la matematica e gli algoritmi atti a questo scopo. Una semplice ricerca in letteratura mostra decine di pubblicazioni sull'argomento.


Noi useremo l'algoritmo più semplice che possiamo trovare, e che tutti hanno avuto modo di conoscere e usare in vita loro.  La media aritmetica.


Molto semplicemente, per ogni pixel ricaveremo i valori dei canali Rosso, Verde e Blu dalla media aritmetica dei valori misurati dai pixel immediatamente adiacenti del colore primario che ci interessa. Con un'unica avvertenza: terremo per buono, senza mediarlo, il valore del canale misurato per il colore del pixel che stiamo valutando.


In altri termini, se il pixel che stiamo valutando é uno di quelli "rossi", con valore di luminosità ad esempio di 127, per il canale Rosso terremo buono il valore di 127, senza guardare quelli adiacenti.


I valori calcolati come esempio per alcune caselle



Nell'immagine sovrastante abbiamo ricavato come esempio i valori della terna RGB per una manciata di pixel. Giusto come esempio calcoliamo i valori per un paio di questi, in particolare per i pixel della riga 3, colonne 2 e 3.


Riga 3 colonna 2. É un pixel rosso, il cui valore é 127. i pixel verdi adiacenti sono 4, tutti con valore 127. La media per il verde sarà quindi 127. I pixel blu sono 4, di cui tre con valore 127 e uno con valore 0. La media sarà quindi 95.2, che arrotondiamo a 95 dato che solo valori interi sono ammessi.


Ricapitolando abbiamo: R: 127; G: 127; B: 95


É un grigio sporco, un po' diverso da quello nell' immagine di partenza che era un grigio medio con tutti e tre i valori a 127.


Riga 3 colonna 3. É un pixel verde, il cui valore é 127. I pixel rossi adiacenti sono 2, uno con valore 127 l'altro 0. La media per il rosso sarà quindi 63. I pixel blu sono 2, anche loro con valori 127 e 0. La media per il blu sarà 63.


Ricapitolando abbiamo: R: 63; G: 127; B: 63


Questo é un verde un po' spento. Non il bel verde della bandiera, ma comunque un verde.


Notiamo come entrambi i pixel, nell'immagine con i soli livelli di luminanza siano stati misurati come grigio medio a valore 127. L'informazione sul colore deriva dalla conoscenza della geometria del filtro di Bayer e da nient'altro.



Proseguendo con l'esercizio otterremmo infine l'immagine riportata sotto.


L'immagine demosaicizzata. Sorpresa, non molte caselle hanno mantenuto il colore originale



L'immagine demosaicizzata, pur rispecchiando l'originale, presenta molti pixel con falsi colori nonché una notevole perdita di "dettaglio" dovuta al fatto che i colori debordano gli uni sugli altri rendendone sfumati i contorni. Questo, insieme ad altre simpatiche conseguenze, é proprio quello che succede con immagini reali. Questa perdita di dettaglio é ad esempio uno dei motivi per cui necessitiamo sempre di applicare una maschera di contrasto all'immagine digitale per "recuperare" la nitidezza.


Tenete comunque conto che su una stampa, un dettaglio di 13x10 pixel é veramente minuscolo (0.7 x 0.5 mm per un file di una 5d MK II stampato su un foglio 20 x 30 cm), ma se ingrandirete sufficientemente i vostri scatti, quando noterete degli artefatti del genere, non date la colpa all'ottica!


Abbiamo certamente scelto l'algoritmo più semplice a scopo didattico, algoritmi più complessi portano a risultati migliori, ma non potremo mai del tutto ovviare ai problemi che la demosaicizzazione porta con se, per così dire, da progetto, quali una certa perdita di definizione e di fedeltà cromatica.


Ci sarebbero molte cose da aggiungere a questo discorso, che purtroppo peró é diventato fin troppo lungo. L'unica cosa che é doveroso spiegare é il perché nel filtro di Bayer il verde abbia un peso doppio rispetto agli altri. Semplice, é il colore che i nostri occhi vedono meglio e su cui notano maggiormente le differenze tonali. In fondo ci siamo evoluti per distinguere prede e predatori in mezzo alla vegetazione.

martedì 23 agosto 2011

Freddo e umido

Canon EOS 5D MKII - EF 85 1.8 @ ISO 400

Un'altra reminiscenza invernale. Giusto per ricordare, in questo torrido fine Agosto che torneranno anche il freddo, la pioggia e l'occasione per qualche bel paesaggio autunnale. 

No giusto perché in questi giorni l'umidità genera una foschia tale che non sono ancora praticamente riuscito a dare un senso fotografico ai paesaggi che vedo. Certo potrei fotografare altro, ma il tempo è purtroppo poco e anche la creatività scarseggia. Capita.

sabato 20 agosto 2011

Tre utilissimi accessori...

Penso ci siano tre accessori fondamentali per portare a casa fotografie di qualità, in particolare per il paesaggio e l'architettura, che vedo raramente nelle borse degli amici fotografi.

1) Una livella a bolla. Di quelle che si attaccano alla slitta porta flash. Costano pochi euro, non pesano nulla, stanno in tasca e fanno risparmiare tantissimo tempo evitandoci di capire se un orizzonte é storto o le linee di quella stupenda chiesetta sono cadenti...insomma se si ha un cavalletto, si deve avere una livella a bolla. Punto. Ce ne sono di vari tipi, il più versatile é quello a due assi. Evitate quelle cosiddette toroidali, funzionano solo con la fotocamera in orizzontale!


2) Un telecomando a filo per ogni fotocamera che si usa. Il peggior nemico della nitidezza é il micromosso. Non ci sono molti modi per evitarlo. Anzi, ne conosco uno solo. Una fotocamera ben ferma. Il telecomando per questo é il nostro migliore amico, nostro e del cavalletto. Si può supplire con l'autoscatto, ma con il telecomando risparmiamo tempo. A volte non costano poco, ma ce ne sono di buoni, non originali, a buon prezzo. Con le reflex andrebbe abbinato al pre-sollevamento dello specchio.


3) Il tempo. Già, é il singolo accessorio più importante in fotografia ed é l'unico che non vendono nei negozi (questa non é mia). In realtà non sta neanche in borsa, ma questi sono dettagli. Comunque visto che tempo ne abbiamo poco, dobbiamo fare tesoro di quello che c'é. Ecco perché non mi porto mai dietro il cavalletto se non ho anche la livella ed il telecomando.

martedì 16 agosto 2011

HPRC 2550W

HPRC 2550W


Il mio feticcio per le borse fotografiche ha colpito ancora.

Intendiamoci, non è che mi piaccia più di tanto riempire la casa di borse, il problema però é che non c'é una borsa adatta per tutte le stagioni. Intendo dire naturalmente che ogni occasione od attrezzatura finisce per necessitare di una borsa diversa. In ogni caso ho deciso che mi serviva assolutamente una valigia rigida per l'attrezzatura. Dopo un minimo di ricerca di mercato mi sono orientato sull' HPRC 2550W. É un modello di trolley in resina sintetica rigida, riempito di schiuma espansa pre-cubettata. Ho scelto questo modello perché anche se discretamente capiente, rispetta le normative delle compagnie aeree per il bagaglio a mano.

Anche come sgabello ha l'altezza e la consistenza adatte.

Nello spazio a disposizione ho ricavato dei vani per ospitare:

CANON EOS 5dMkII con battery grip
EF 24-105 F4 L
EF 70-200 F4 L
SIGMA 12-24
Flash 580 EX II
Caricabatterie
2 set di pile stilo per flash
porta schede di memoria
filtro UV da 77 mm (per completare la tropicalizzazione del 24-105)
telecomando a filo

Insomma un corredo essenziale ma al contempo completo. Incidentalmente poi nel vano del 70-200 si infila perfettamente una Panasonic GH2 con montato il 100-300, permettendomi un corredo estremamente versatile.

Per far stare tutto ho ridotto a tratti lo spessore dell'espanso un po' più di quanto non sia consigliabile per tenersi ultra al sicuro, ma in caso posso sempre aggiungere, dove servisse, un po' di protezione quelle volte che ne avvertissi l'esigenza.

Come va?

Per il momento bene. La gomma é facile da sagomare senza bisogno di utensili. Se si commettono errori si può rimediare con un po' di attack. La ditta, italiana, fornisce anche dei kit sostitutivi, uno penso lo ordinerò tornato dalle vacanze, insieme con altri accessori.

Unica nota. Io sono un po' pirla, ma non ho tenuto conto che i vani delle ruote e della maniglia rubano spazio al vano di carico. Si, certo, potevo arrivarci, ma ho iniziato a tagliare la gomma proprio a ridosso delle sporgenze nascoste e mi sono trovato a doverla incollare e ricominciare.

Il primo giro di prova sul campo l'ha eletta valigia da bagagliaio perfetta. Mi spiego: quando, come in questi giorni, mi prendo qualche giorno di vacanza in campagna con la famiglia, ho l'abitudine nei momenti liberi di prendere la macchina alla ricerca di ispirazione. Di solito in queste occasioni tengo nel bagagliaio dell'auto un corredo il più completo possibile, perché non so a priori cosa mi servirà. Il punto é che se trovo qualcosa da fotografare, e c'é la luce giusta, allora fermo la macchina nel primo posto sicuro e poi torno dove ho trovato il soggetto. Con una pesante borsa a spalla o con uno zaino é un po' una rottura. Con un trolley, se la strada é asfaltata diventa invece letteralmente una passeggiata. Mai più senza. Certo chi mi incrocia mi prende per matto, ma qual'é la novità?

Il sito del produttore (da cui ho anche preso in prestito la foto) lo trovate qui.

Un simpatico video su come sagomare l'espanso lo trovate invece qui.



sabato 13 agosto 2011

Torino - Palazzo Madama

Torino - Palazzo Madama - Canon EOS 5D MKII @ ISO 100

Torino, Palazzo Madama. Sito in Piazza Castello e' un edificio dalla storia quasi bimillenaria. Da porta cittadina all'epoca romana, passando per dimora delle 'Madame' reali di casa Savoia, ad oggi sede museale. In questo foto la facciata barocca opera di Filippo Juvarra.

Quasi l'ora blu, sono arrivato sul posto con un po' troppo anticipo e mi e' toccato aspettare pazientemente che il sole, al tramonto si incuneasse al fondo della via Garibaldi, illuminando la facciata del palazzo con  una tenue tinta rosata. Il blu del cielo e l'illuminazione calda delle finestre hanno fatto il resto. 

martedì 9 agosto 2011

Ombrello capo?

Torino, Canon EOS 5D MKII - EF 17-40 F4 L @ ISO 1600

"Ombrello capo?" Immancabili, al primo cadere di qualche goccia di pioggia spuntano in tutti gli angoli del centro, carichi di ombrelli. 
Ed altrettanto immancabili, al mio passaggio coperto quasi sempre solo da un cappello impermeabile ecco il loro: "Ombrello capo?"

Ed Io, sempre immancabilmente mi trovo a pensare alla scenetta tra Wang Chi e il vecchio Jack Burton:

Wang Chi: L'uomo coraggioso ama sentire la natura sulla pelle.
Jack Burton: ... sì e l'uomo saggio usa l'ombrello quando piove.

Immancabilmente subito dopo vedo poi la faccia di un mio amico dei tempi dell'Università che, fradicio di pioggia mi dice: "A ordine zero l'uomo non è idrosolubile".

Tutto questo mentre io tiro dritto rifiutando, con un cenno di diniego, la loro offerta di un ombrello che, immancabilmente, non arriverebbe intero a casa.

Intendiamoci. Io tifo per Jack: L'uomo saggio usa l'ombrello quando piove, ed infatti ne ho sempre uno pieghevole di buona qualità nella borsa a spalla o nel marsupio. 

L'uomo saggio...certo.

Il problema è che quando sono in giro a far foto, non sono un uomo saggio, sono un fotografo.  E a noi fotografi gli ombrelli ci rompono solo le scatole.

Non puoi fotografare tenendo in mano l'ombrello, non c'e' storia. Però fotografare quando piove può regalare scatti bellissimi in posti che altrimenti sarebbero banali o degni, al più, di una cartolina. Bagnati però non si fotografa bene, anzi... E allora che fare?

Semplice, se la pioggia non è troppa si può optare per una semplice giacca sufficientemente impermeabile e per un cappello, di quelli pieghevoli tipo K-way, a tesa larga, per evitare lo stillicidio sugli occhiali (eh si, alla fine bagnare gli occhiali è la cosa più fastidiosa). 
E' bene ricordare però che pochi materiali sono veramente impermeabili: alla lunga tutto lascia passare l'acqua, con l'eccezione, forse, di una buona giacca di pelle e della plastica.

Se proprio piove come si deve, allora si passa alle maniere forti, arrivando fino a: 

- Scarponcini con interno in gore-tex, meglio se coperti anche da ghette.
- Copri pantaloni impermeabili.
- Giacca tipo K-way.
- Cappello pieghevole tipo K-way (quello descritto sopra).
- Poncho di plastica di quelli usa e getta.

Si fa un po' la sauna, ma si rimane asciutti. Così bardato sono riuscito ad arrivare asciutto alla fine di una sessione di riprese alla maratona di Berlino, "benedetta" da prima dell'inizio a dopo la fine (7 ore), da una pioggia incessante e freddolina.

Quella volta però utilizzai anche l'ultimo degli espedienti. L'ombrello. Piantato tra la schiena e lo zaino, ben stretto. 
Si, a ben vedere effettivamente qualche volta si può anche fotografare con l'ombrello.

E la macchina fotografica con tutta quell'acqua? Quella è un'altra storia.


domenica 7 agosto 2011

Inverno

Panasonic Lumix GH2 - Lumix G VARIO 100-300 @ ISO 320
Altre reminiscenze invernali.

Panasonic Lumix VARIO G 100-300 F4-5.6



Panasonic Lumix VARIO G 100-300 F4-5.6 MEGA O.I.S.


Categoria: Super Tele micro 4/3, ci sono paparazzi che lavorano con roba piu' corta
Costruttore: Panasonic, provato su Panasonic Lumix GH2 

Fin dal suo annuncio il sistema micro quattro terzi portava in dote una naturale propensione alle ottiche lunghe, forza del rapporto di ingrandimento 2x del suo sensore, ed alla compattezza delle stesse frutto del tiraggio ridotto causa l'assenza dello specchio.

Certo qualche perplessita' pure la lasciava, in un mondo in cui i grandi produttori facevano a gara per la rincorsa ai sensori full-frame a costo contenuto, con le loro lusinghe a base di pulizia del segnale e capacita' di sfruttare a pieno l'esigua profondita' di campo delle ottiche super-luminose.

Ad oggi si puo' dire che questo sistema ha mantenuto le promesse con cui e' nato, ed in alcuni casi ha anche mitigato gran parte delle perplessita' iniziali.

Sul fronte dei teleobiettivi, con l'introduzione  del Lumix Vario G 100-300 F4-5.6 Mega O.I.S. (sembra uno scioglilingua), Panasonic ha mantenuto la promessa di un super tele alla portata di tutti. 

Insomma, un'ottica zoom equivalente a un 200-600 mm, se rapportati al formato Leica, con apertura massima F4 sulla focale "corta" ed F.5.6 su quella lunga non e' una cosa da tutti i giorni. Se poi consideriamo che il prezzo sul nuovo si aggira attorno ai 590 Euro la cosa sembra decisamente interessante.

Le caratteristiche tecniche dettagliate ve le potete recuperare sugli zilioni di siti dedicati alle recensioni di obiettivi, mi limito a riassumere i fatti salienti: 

Intanto l'angolo di campo inquadrato, da 12 gradi a poco piu' di 4. 

Raffronto dell'angolo di campo inquadrato, rispetto al 24 mm: il 100mm in rosso e il 300 in verde



L'ottica e' stabilizzata (questo significa quel MEGA O.I.S. nello scioglilingua), e meno male perché a 600 millimetri equivalenti e' un'impresa inquadrare qualcosa a mano libera anche così, figuriamoci senza.
Pesa poco più di 500 grammi, grazie alla minor quantità di vetro necessaria per coprire il cerchio di copertura ridotto del micro 4/3 e all'abbondante uso di plastica nella costruzione. Quel che conta comunque e' che si può usarlo tranquillamente a mano libera portandoselo in giro tutto il giorno senza essere dei culturisti.  Provateci con un'ottica equivalente per full-frame: la mia cervicale ringrazia.


Le migliori prestazioni che ho ottenuto con lo stabilizzatore, un micromosso è già percettibile, oltre non si va: 
In alto, dettaglio al 100% di uno scatto a 300mm, ISO 160, 1/15 s
In basso, dettaglio al 100% di uno scatto a 100mm, ISO 160, 1/10s 

L'efficacia dello stabilizzatore è esemplare. Con un po' di mano ferma sfiora i 5 stop. Diciamo che tra i 3 e i 4 si va sul sicuro.

Su questo genere di ottiche la compattezza del micro 4/3 viene un po' meno se confrontata con ottiche classiche per APS-C, ciò nondimeno si fa sentire ed apprezzare.  Chiuso (si allunga zoomando) occupa meno di 13 cm. A questo proposito e' da notare che, come molti suoi simili, persa la rigidita' dei primi giorni il 'naso' tende ad allungarsi da solo con la macchina appesa al collo. Un sistema di bloccaggio (assente) sarebbe stato cosa gradita. Ovviemante e' un mostro di compattezza e leggerezza se lo paragoniamo invece a un'ottica del genere per full-rame (e non ne esistono molte).

Viene dotato di serie di un generoso paraluce, come tutte le ditte dovrebbero fare, per qualsiasi ottica.

La ghiera dello zoom non e' particolarmente fluida, ma non e' neanche malaccio. Il motore autofocus e' rapido e silenzioso, perde solo qualche colpo quando la luce si fa veramente poca. La ghiera di messa a fuoco invece e' la pecca di tutte le ottiche per micro 4/3. C'e' e' di generose dimensioni, ma io proprio non riesco ad abituarmi alla sensazione restituita da questa messa a fuoco di tipo fly-by-wire, ho la sensazione di non avere un feedback di quello che faccio, non so descriverlo, ma proprio non mi ci trovo. Manca ovviamente come in tutte queste ottiche anche una scala delle profondita' di campo (LINK), ovviemante aggiungerei, dato che l'anello di messa a fuoco in questo caso non e' legato meccanicamente alle lenti. In questo caso pero' avrei una domanda: ma a nessuno dei signori che progettano queste macchinuzze e' venuto in mente di implementare via software tra le tante funzioni pseudo-utili, un surrogato digitale del diagramma delle profondita' di campo da visualizzare sul display? Suvvia, non sarebbe difficile!

Frozen - Panasonic GH2 - Lumix Vario G 100-300 @ ISO 160


Comunque, venedo alle cose importanti: Come va quest'ottica sul campo? Bene, anzi benissimo. ha risoluzione da vendere a tutte le focali. Leggermente migliore sui 100 che sui 300, ma sempre comunque buona. Raggiunge il meglio di se verso F7.1, ma i risultati sono buoni anche a tutta apertura. Lo stabilizzatore come si e' visto fa il suo dovere. Anche grazie al paraluce, la resistenza in controluce e' buona. Non presenta aberrazioni cromatiche di sorta, ma non so dire se questo sia dovuto alla bonta' del disegno ottico, o alle correzioni software che vengono apportate dai convertitori ai file raw delle macchine m4/3 in modo automatico e completamente trasparente, o quasi, a noi utenti.

Dettaglio al 100% della foto precedente

Lo sfocato può andare dall'estremamente morbido al descrittivo, a seconda del diaframma, ma e' sempre piacevole.


Piante di Colza - Panasonic Lumix GH2 - Lumix Vario G 100-300 @ ISO 160
Dettaglio della foto precedente. Notate lo stacco dei piani anche ad F/16 a 300mm


E' un'ottica che vedo molto bene per il pesaggio, per il reportage urbano, per fotografare i dettagli in architettura. Non mi occupo di foto naturalistica quindi su questo non vi so dire. Per fotografare lo sport invece non mi sento di consigliarlo, il sistema micro 4/3 non e' ancora abbastanza veloce per questo genere di attività'.


Unica avvisaglia. Nonostante sia leggero e compatto, esteso raggiunge una certa lunghezza. E' una di quelle ottiche che avrebbe bisogno di una staffa quando montata su cavalletto perché' tende ad abbassare il muso quando si serra la testa, di poco, ma la cosa rende difficile la composizione. Purtroppo la staffa non e' in dotazione e non e' neppure prevista. Secondo me ci vorrebbe. 

Sento la domanda: non avevo detto che l'ottica si usa bene anche a mano libera? Vero, ma a volte lavorare su cavalletto e' il modo migliore (almeno per me) per portare a casa delle foto che non siano banali, nonche' per ottenere la migliore qualita' possibile.



Concludendo, se avete una micro 4/3 procuratevi quest'ottica senza starci a pensare. Non avete una micro 4/3? Peggio per voi.

Potete trovare a questo link una selezione di scatti effettuati con questa lente.


giovedì 4 agosto 2011

L'angolo di campo (e la focale equivalente)

Quando montiamo una lente di lunghezza focale f focheggiata all'infinito sulla nostra bella fotocamera il cui sensore ha una diagonale di lunghezza D, quello che otteniamo e' che i raggi di luce che attraversano il centro ottico della lente arrivano al bordo del sensore (posto a una distanza f) formando con l'asse ottico della lente un angolo α/2.

Ecco, α e' l'angolo di campo della nostra lente. Chiaro?


Piu' o meno immagino. Detto in altre parole, e guardando la figura, possiamo vedere che la distanza tra il centro ottico della lente (per la verita' in un sistema ottico complesso il piano nodale posteriore, ma poco importa in questo contesto) e il piano del sensore e' pari alla lungezza focale f della lente. Se congiungiamo il bordo del sensore al centro ottico della lente formiamo un triangolo con cateti di lunghezza D/2 ed f, l'ipotenusa di detto triangolo forma con l'asse ottico della lente un angolo α/2.

Ora anche nella parte superiore possiamo immaginare di avere un triangolo speculare a quello inferiore sempre con un angolo pari ad α/2, che insieme formano un unico triangolo con angolo al vertice pari ad α.



Il prolungamento dei lati di questo nuovo triangolo nel semipiano che si estende davanti alla lente (dove sta il soggetto), delimita lo spazio in una parte (in azzurro nella figura), entro cui i raggi di luce che arrivano alla lente formano un'immagine sul sensore, ed in un'altra parte, i cui raggi finiscono fuori dal sensore. L'angolo α e' quindi una misura della dimensione di questo cono di luce che forma l'immagine.

E' a questo punto banale notare che tanto piu' lunga sara' la focale tanto piu' stretto sara' quest'angolo e la corrispondente area inquadrata.
Anche una diminuzione della dimensione del sensore evidentemente riduce l'angolo di campo.

Riassumendo possiamo vedere come i parametri che influiscono sull'angolo di campo sono la focale e la dimensione del sensore. Precisamente secondo la formula:

α = 2*arctan(D/2f)

da cui, per un sensore full-frame 24x36 possiamo ricavare la seguente tabellina contenente, per il lato corto, quello lungo e la diagonale gli angoli di campo coperti con una serie di focali.

Il concetto di "focale equivalente" introdotto anni addietro dai venditori di macchine fotografiche per indorare la pillola del passaggio al digitale a questo punto si spiega facilmente. Le due figure precedenti mostrano chiaramente come rispetto ad un angolo di campo di partenza, per ottenerne uno minore si possa indifferentemente usare una focale maggiore oppure ritagliare un pezzetto dell'immagine, ovvero usare un sensore piu' piccolo. 
Ai fini dell'angolo di campo quindi usare un sensore piu' piccolo equivale ad usare un'ottica piu' lunga su un formato maggiore, ed il famoso fattore di moltiplicazione delle reflex APS-C non e' altro che un fattore, lineare, di ritaglio del sensore. 


mercoledì 3 agosto 2011

Monumento a Emanuele Filiberto di Savoia - 2

Torino - Panasonic Lumix GH2 - Lumix G VARIO 100-300 @ ISO 640

L'altro protagonista del dittico sul monumento equestre ad Emanuele Filiberto di Savoia.

lunedì 1 agosto 2011

Monumento a Emanuele Filiberto di Savoia - 1


Torino - Panasonic Lumix GH2 - Lumix G VARIO 100-300 @ ISO 1600

Foto di un particolare del monumento equestre a Emanuele Filiberto di Savoia sito in Piazza S.Carlo a Torino, opera di Carlo Marocchetti. Fa parte di una serie di scatti di prova effettuati con l'obiettivo Panasonic Vario G 100-300, che dimostra di essere uno dei più nitidi su cui ho avuto il piacere di mettere le mani.